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Intervista a Francesco Gallucci, Vice Presidente AINEM


18 Luglio 2023

Abbiamo incontrato Caterina Garofalo e Francesco Gallucci, Presidente e Vice Presidente di AINEM (Associazione Italiana di Neuromarketing) nel corso della Digital Talks Experience organizzata a Cagliari l’8 e 9 Luglio 2023 da Roberto Serra.
Prendendo spunto dal suo intervento, Francesco Gallucci ha gentilmente condiviso con noi le sue conoscenze, sviluppando in questa intervista con Fabrizio Leo, Direttore del Neuro-Training College, il tema di come le Neuroscienze oggi rispondono alla sfida dell’Intelligenza Artificiale.

(Leo) L’Intelligenza Artificiale appare come una grande rivoluzione, forse definitiva, del mondo che conosciamo. Sei d’accordo con questa definizione?
(Gallucci) In parte. C’è un’altra rivoluzione in atto, a mio modo di vedere ancora più importante, ed è quella del genere umano, che è in caduta libera perché stiamo vivendo un momento di confusione, di reset. Siamo in una fase passiva e di riflessione rispetto a quello che accade, e che procede a una velocità troppo elevata per il nostro cervello. Assistiamo in pratica a una innovazione continua che ci porta ad accrescere la nostra attenzione rispetto a dei dettagli che sono spesso inutili.

(L) Si, il reset è evidente. Io personalmente l’ho percepito con chiarezza quando è stato fatto il primo lockdown, era chiaro che eravamo di fronte a un cambiamento forte e ineludibile dello scenario in cui vivevamo. Quindi che strumenti pensi abbiamo per fare fronte a questa situazione?
(G) Per fortuna oggi siamo anche in una situazione in cui, grazie alle neuroscienze e a scoperte che avvengono continuamente, possiamo dire che il cervello umano sta bene, è in buona salute, ma ha problemi legati soprattutto alla difficoltà che incontra ad alfabetizzarsi, che è il vero grande tema. Alfabetizzarsi significa recuperare un rapporto di controllo rispetto alle tecnologie, come ha sempre fatto in tutta la storia dell’umanità.

(L) Mi stai quindi parlando di qualcosa legato alla percezione ed all’azione?
(G) Si, oggi ci troviamo in una situazione in cui la nostra capacità di percepire la realtà intorno a noi – tema molto importante che stiamo studiando a fondo in AINEM –  quindi di esercitare un pensiero critico, di giudicare quello che c’è intorno a noi, valutare e interagire con le persone, si è ridotta drasticamente almeno da una ventina d’anni perché sono intervenuti tra noi e la realtà quelli che chiamo intermediari cognitivi: i media e tutto ciò che riguarda l’informazione in genere. Questo fenomeno della intermediazione ci ha messo in una condizione passiva, in una condizione di incapacità di interagire col mondo. Posto poi che esista un mondo reale o un mondo virtuale. In realtà siamo in tutti e due e un po’ come degli anfibi entriamo e usciamo, e stiamo da tutte e due le parti.

(L) E quindi cosa manca, visto che abbiamo la capacità di stare in entrambi questi mondi?
(G) Ci manca di avere i giusti agganci con la realtà, una realtà fatta di cose concrete, quelle dei nostri nonni, quelle del guardare fuori e capire come sarà il tempo domani. Noi guardiamo il meteo, per capire cosa succederà domani e sappiamo già che non sarà preciso, perché magari quello che prevede non si verifica. In questa situazione il nostro cervello subisce una involuzione dal punto di vista delle potenzialità, dal punto di vista della propria capacità di esercitare un pensiero critico.

(L) E questo crea un contrasto stridente tra l’involuzione cerebrale, e la complessità crescente creata dall’aumento delle possibilità offerte dalla tecnologia. La Scelta è sempre un elemento fondamentale, da qualunque punto di vista lo si guardi, e qui diventa ancora più centrale. Ma è possibile fissare un punto di inizio di questa involuzione cerebrale?
(G) Si, e dal punto di vista delle neuroscienze e del neuromarketing questo è un tema fondamentale, perché siamo in una fase che noi in AINEM definiamo come una sorta di allarme, rispetto a un problema che è equivalente al disastro ambientale. Noi siamo in una piena crisi cognitiva. Negli anni 70 del secolo scorso, Herbert Simon, Premio Nobel, dichiarava che la nostra capacità di attenzione era già in crisi. Il nostro cervello non è cambiato negli ultimi 200.000 anni, e le sue capacità hanno mantenuto nel tempo il loro standard, ma quello che è cambiato, e direi drasticamente negli ultimi 20/25 anni, è l’offerta di informazione che riceve. Quindi da una parte c’è una capacità di attenzione che resta stabile, dall’altra esiste una crescita esponenziale di informazioni con le quali dobbiamo misurarci per decidere e per valutare. E’ come se ci fosse un gap tra la capacità attenzionale del nostro cervello e l’offerta, che é destinato a crescere ancora di più, e in questa situazione la tecnologia ha proposto quelli che possiamo definire dei supporti, infatti oggi lo smartphone ci fa da memoria ausiliaria. Oggi possiamo valutare tutta una serie di situazioni, anche senza attivare le funzioni del nostro cervello, attraverso supporti tecnologici che valutano per noi e ci forniscono delle soluzioni. Quindi oggi il nostro cervello è in una situazione che possiamo definire di osservazione, di transizione, di evoluzione, verso una rivoluzione di nuovo tipo che non riusciamo ancora a definire chiaramente, ma che sicuramente deve mettere il cervello stesso al primo posto delle priorità.

(L) Nel Neuro-Training stiamo dando grande attenzione ai Livelli Nascosti del Cervello, ed è una definizione che abbiamo tratto dall’informatica. Inoltre da tempo si parla di robotica, e l’Intelligenza Artificiale sembra avvicinarci al mondo descritto per esempio da Asimov nel Ciclo dei Robot. E’ come se informatica e neuroscienze stessero convergendo in qualche modo. Come vedi questa evoluzione?
Se parliamo di ciò che succede nella ricerca dell’imitazione del cervello umano, cioè della capacità di imitare il funzionamento del cervello umano per creare un facsimile, o di replicarne le funzioni principali, abbiamo come frontiera la ricerca relativa agli organoidi, che sono strutture create per replicare le funzioni dei neuroni, e che però hanno un limite dettato dal numero. Il nostro cervello ha infatti, dagli ultimi studi, 86 miliardi di neuroni, e ognuno di questi ha almeno 10mila possibilità di connettersi con gli altri neuroni, e questo ci da una possibilità di attivazione di scambi di informazioni, di relazioni tra neuroni che praticamente è infinita. D’altro canto, attualmente si lavora su insiemi di circa 50mila organoidi, quindi un numero molto più basso, e l’ipotesi più avanzata è che continuando su questa strada, tra qualche decennio forse riusciremo a riprodurre le funzioni dell’intelligenza basica di un topo. Quindi al momento la possibilità che si riesca ad imitare la capacità di un cervello umano è illusoria.

(L) E’ tranquillizzante che l’idea che l’Intelligenza Artificiale si possa sostituire a quella Umana sia prematura. Ciò su cui la si sta applicando, per ora è una creazione via via più sofisticata, euristica, di modelli di linguaggio. Come immagini l’evoluzione di questo processo?
(G) Di fatto, stiamo parlando di IA quando ancora non sappiamo cos’è l’intelligenza umana, e quindi stiamo giocando su un termine di cui ancora non conosciamo il significato. Sarebbe molto più corretto prendere atto che ciò che si sta sviluppando è uno straordinario supporto alla comunicazione, e definirla Comunicazione Artificiale, invece che Intelligenza.

(L) E questa Comunicazione Artificiale viene elaborata e produce effetti sulla nostra struttura fisica, sulla nostra neurologia. Cambia l’esperienza che abbiamo del mondo e il modo in cui ci adattiamo ad esso. In che modo il nostro sistema nervoso viene sfidato o aiutato dalla Comunicazione Artificiale?
(G) Se da una parte possiamo dire che al momento l’Intelligenza Umana è in vantaggio su quella Artificiale, e che se vogliamo fare un passo in avanti è utile capire perché è difficile imitare il cervello umano, è anche vero che il cervello in questo momento si trova in difficoltà a causa dell’uso dei supporti che veicolano, come afferma spesso Caterina Garofalo, Presidente di AINEM, la Comunicazione Artificiale. Io li chiamerei anche protesi, perché sono delle protesi neuronali, delle protesi cognitive, chiamiamole come vogliamo ma lo smartphone è una protesi. L’uso di queste protesi interagisce col fatto che il nostro cervello è basato su un meccanismo straordinario di plasticità basato su algoritmi che governano i nostri comportamenti ed abitudini, e di cui noi possiamo verificare l’esistenza anche quotidianamente attraverso le attività di routine che svolgiamo. Aprire una porta è un algoritmo, scendere le scale è un algoritmo. Quando guardiamo e interpretiamo le scene di un film stiamo esercitando un pensiero critico che si basa su degli algoritmi di interpretazione, quindi funzioniamo con degli algoritmi che sono dei grappoli neuronali, formati anche da milioni di connessioni che si attivano ed entrano in funzione per risolvere un problema. Questi grappoli neuronali sono, esattamente come avviene a livello sociale, o in rete e nei social media, grandi reti di connessioni dove ognuno comunica con tutti gli altri.

(L) Questo è un punto che come Neuro-Trainer sviluppiamo nella nostra Procedura Avanzata, che è in gran parte basata sulla Teoria della Selezione dei Gruppi Neuronali, e quindi su quello che il suo autore, Gerald Edelman, definisce Rientro.
Da un punto di vista metaforico, consideriamo poi le Abitudini come parte dei meccanismi difensivi della persona, assieme a Paure e Credenze, perché quando Fisico, Emotivo e Mentale insieme non riescono ad adattarsi in modo efficace alla realtà, la persona si rifugia in queste Difese.
C’è da dire che in realtà anche Paure e Credenze sono delle Abitudini in senso lato. Questo mette in evidenza le due priorità fondamentali del Sistema Nervoso, la Sopravvivenza e l’Apprendimento.

(G) Il punto è che il nostro cervello è nato e si è organizzato fin dal suo inizio, proprio per acquisire esperienza, anche procedendo per selezione darwiniana, perché l’esperienza genera e rinforza le connessioni neuronali più utili e forti. Le esperienze che noi viviamo, quindi il poter verificare tangibilmente le cose, giudicarle, valutarle, viverle anche con tutti i problemi che possono essere associati, come gli errori, certo, sia quando noi ne attiviamo di nuove, o ripetiamo quelle che già conosciamo migliorandole, in realtà rinforziamo le connessioni neurali e questo ci porta all’apprendimento, ci porta a controllare sempre di più le situazioni.
Quando poi parliamo di abitudini, le abitudini sono dei comportamenti, si esprimono, si evidenziano materialmente e visivamente con delle azioni che noi compiamo, ma l’abitudine è un algoritmo e noi siamo ricchi, straricchi di abitudini perché la nostra libreria di abitudini è praticamente incalcolabile. Non so quante ne possiamo avere, ma ogni volta che noi compiamo delle azioni senza rendercene conto, diciamo di routine, tutte quelle volte noi esercitiamo, attiviamo un algoritmo che entra in azione quasi in autonomia.

(L) Quindi pensi che il rischio sia che man mano creiamo delle Abitudini che limitino la nostra capacità di Scelta? Che in sostanza ci stacchiamo dalla realtà, delegando a tutto ciò che è artificiale ciò che prima veniva gestito dalla nostra capacità critica?
(G) Questo concetto è molto importante perché se noi non usiamo bene e non teniamo attive tutte le connessioni neuronali, queste dopo un po’ si atrofizzano. E’ come l’allenamento, è come fare fitness: se non uso i muscoli si atrofizzano. C’è una frase inglese che riassume tutto: “use it or lose it”, ed è esattamente quello che succede al nostro cervello. Lamberto Maffei, che è uno dei nostri grandi neuroscienziati parla proprio di dipendenza dalla tecnologia. In questo momento stiamo correndo un grande rischio di affievolire alcune importantissime capacità del nostro cervello, per esempio di interagire e interpretare il mondo, comprenderlo, fare valutazioni, fare confronti. Maffei dice che i tempi delle macchine ci obbligano ad adeguarci ad una velocità che non è quella umana, e quindi abbiamo la necessità di recuperare quello spazio del pensiero lento. Pensiero lento vuol dire tante cose, vuol dire ritagliarsi degli spazi, vuol dire leggere, fare una passeggiata, e sta diventando ormai un’esigenza avere un tempo per poter decidere di non fare niente in quel tempo. E’ un lusso, una conquista, è un impegno che ci obbliga ad uscire dalla nostra agenda, che è fittissima e si ragiona sulle mezz’ore ormai, e questo non va bene. Dal punto di vista fisiologico è un grande problema, perché inibisce delle nostre attività fondamentali e ci obbliga a riorganizzare tutto il cervello in prospettiva della velocità delle macchine.

(L) E’ tutto molto interessante perché viaggiamo sempre su questo confine, per cui ogni cosa che ci facilita la vita, e quindi ci libera risorse, soprattutto tempo, rischia però di farci perdere abilità. E l’Intelligenza Artificiale, o Comunicazione Artificiale, come l’hai definita, è in sostanza una forma di elaborazione del linguaggio. Ci sono dei riscontri su ciò che riguarda la capacità umana di elaborare il linguaggio?
(G) Un tema collegato all’impoverimento cognitivo – e che costituisce invece una buona notizia – è il fatto che stiamo andando verso l’annullamento del gap dell’alfabetizzazione in campo mondiale, in campo non solo digitale ma anche generale. Inoltre si osserva una crescita del QI medio delle popolazioni, soprattutto dei più giovani. C’è una crescita verticale in Africa, un po’ più lenta in Asia, nelle Americhe è fortissima, e noi stiamo procedendo a rilento. Quindi non traggo delle conclusioni, non voglio dire che c’è una relazione tra queste dinamiche che sono così forti e la crescita dell’intelligenza, anche perché ci sono molti dubbi, abbiamo detto che non sappiamo cos’è l’intelligenza, e questa comunque resta una metrica di confronto che viene usata e che ci serve. Però qualche anno fa James R. Flynn ha messo in evidenza che se è vero che sta crescendo il QI medio delle popolazioni, grazie al miglioramento della salute, dell’alimentazione, anche dell’apprendimento, è anche vero che c’è un fenomeno che sta emergendo soprattutto all’interno di alcuni paesi molto avanzati, e parliamo di Norvegia, Danimarca, Germania, che si chiama Effetto Flynn inverso, cioè si sta riducendo il QI in alcune popolazioni specifiche altamente digitalizzate. E qui un bell’alert ci sta, dobbiamo preoccuparci. Questa caduta verticale è destinata a proseguire perché correlata probabilmente all’incremento della dipendenza dalla tecnologia, quindi forse diventiamo più stupidi, o forse meno intelligenti, e probabilmente è vero l’uno e l’altro.

(L) La via di uscita può essere collegato alla Scelta, che fa uscire dalla passività, e conferisce direzione alle persone? Far si che siano le persone ad utilizzare i device e non il contrario, è il rischio che Roberto Serra ha evidenziato recentemente in un TedX. Personalmente considero il mio iPad, più ancora del mio iPhone, come una memoria ausiliaria che mi permette di espandere la mia capacità di interagire e ricordare. Lo uso come archivio delle mie capacità e conoscenze, anche nelle sessioni che faccio con i clienti. Ci sono memorizzati dentro corsi, tecniche, elenchi e procedure che sarebbe impossibile ricordare, specie quando svolgo un lavoro complesso come una sessione. Da un punto di vista di efficacia, è un grosso passo in avanti, e in molti utilizzano questa modalità. 
(G) In realtà mi chiedo se usando gli strumenti che ci sgravano dal compito di ricordare e decidere, finiamo per adattarci alla tecnologia diventando più capaci o incapaci.
Probabilmente prima eravamo più interessati al mondo reale, oggi il mondo reale è diventato una funzione dello smartphone, e quello che ci arriva è quello che viene mediato. In ogni caso il rischio c’è, e anche i comportamenti sono diventati esasperati. In una ricerca americana si valutano in 2176 le interazioni tattili medie giornaliere con il touchscreen dello smartphone. Pensate quanto sforzo cognitivo comporta fare quest’azione. Fra l’altro lo studio dice che stiamo sviluppando una capacità somato sensoriale dei polpastrelli. Cioè praticamente è come se stessimo amplificando e potenziando delle funzionalità che prima erano normali, esattamente come fa un musicista, un violinista nel toccare le corde. Quindi questo è un fenomeno di trasformazione plastica del cervello, che non è detto che vada bene. Il problema non è credo valutare se lo smartphone sia un bene o un male, ma è capire, appunto, se lo stiamo usando nel modo corretto. Non ho in questo nessun tipo di giudizio critico, non ha senso averlo, perché sono tecnologie che usiamo.

(L) Questo sui polpastrelli è un insight che ci riguarda da vicino perché nel Neuro-Training usiamo da sempre dei Modi Digitali, simili anche ai Mudra indiani, che costituiscono delle sfide di tipo elettrico ai contesti su cui lavoriamo in sessione, ed Andrew D. Verity, la persona che ha creato il Neuro-Training, era perfettamente cosciente della sfida rappresentata dalle informazioni che le dita captano in ogni situazione, perché sono uno strumento percettivo fine, connesso direttamente col Cervello. Dire dita e dire connessione è un po’ la stessa cosa. Sto vedendo anche una serie su Prime, The Peripheral, in cui il contatto e il movimento delle dita viene utilizzato per attivare la connessione tra persone, e tra persone e macchine, ed è esattamente lo stesso concetto. Quindi è anche sul contatto e sulla connessione che ci giochiamo la partita tra umanità e tecnologia. Nel mio lavoro il Covid ci ha fatto uscire dagli studi in cui lavoravamo col cliente in presenza, per passare alle videochiamate con cui facciamo le sessioni da remoto, e abbiamo creato standard e modalità di comunicazione nuove. Grazie alla tecnologia, o usandola per adattarci.
(G) Io posso dire che anche il Neuromarketing è tutto tecnologia, è basato sulla tecnologia, è basato sulla produzione di dati. L’accelerazione di tante attività come la nostra e altre, è condizionata e deve tantissimo alla comunicazione a distanza, all’uso della messaggistica, di WhatsApp e simili. Quindi non c’è dubbio che tutti noi dobbiamo dire grazie alla tecnologia, ma allo stesso tempo è giusto porsi la domanda, visto che ci è data l’occasione di parlarne, di dire “Attenzione, questa rivoluzione del cervello, quando arriva?”. Io penso che ci sia una domanda o una riflessione che dobbiamo farci, e che è proprio questa. Probabilmente quello che sta succedendo è che non stiamo diventando né più stupidi né più intelligenti, ma più superficiali, sia nell’accelerazione che ci viene imposta dalle macchine, che nella difficoltà di riuscire a fare delle scelte. Nel Neuromarketing studiamo per esempio come si comporta il cliente davanti a uno scaffale, come sceglie alcuni prodotti quando va a comprare in un sito di ecommerce, cosa lo spinge a scegliere, che tipo di informazioni sta attivando al proprio interno per poter decidere quello che è meglio per lui. Questo vale per i viaggi, vale per qualunque cosa.

(L) Quindi ritorna il tema della Scelta, che diventa anche un indicatore della direzione in cui va il cambiamento. Il punto è capire chi realmente sceglie, tra noi e la macchina. Per sostenere il confronto, l’Umano deve andare verso una Integrazione delle sue capacità, Fisiche, Emotive e Mentali, che è anche il risultato del Neuro-Training. Su questo mi sembra che il cambio di scenario non abbia mutato le regole. La nostra capacità di sostenere e processare la realtà, qualunque realtà sia, dipende sempre da quelle che sono le nostre capacità di Espressione. E l’Espressione dipende da quante e quali informazioni disponiamo e siamo in grado di elaborare, che è un lavoro che non può essere interamente svolto dalla nostra parte logica, perché gran parte della nostra elaborazione avviene in modo subconscio, e quindi è fondamentale allenarci a reagire al nuovo e all’inaspettato in modo positivo ed efficace , e non in modo automatico o delegato. Come vedi, nel nostro Sistema Nervoso, la relazione tra la capacità di elaborazione e la disponibilità delle informazioni?
(G) Quello che mi sembra che sia un punto fondamentale è che nell’approfondimento delle potenzialità dell’IA dobbiamo mettere sempre più attenzione su quello che è l’Intelligenza Umana, ma anche sul Brain Data, e quindi non solo Big Data ma anche Brain Data. E’ una tendenza convergente ed evidente a chi si occupa di questi argomenti e di profilazione. Oggi abbiamo una quantità enorme di strumenti che ci permettono di tracciare i comportamenti delle persone online, su Amazon, in una banca, o ovunque in rete, però poi non sappiamo dargli un tono, non sappiamo dargli quella profondità, quella terza dimensione che per esempio è rappresentata dalla dimensione emozionale, e quindi penso che il limite che dobbiamo superare con l’Intelligenza Umana è proprio quello di aiutare l’IA a integrare meglio i dati per poter sviluppare delle valutazioni più complete ed efficaci.

(L) Infatti. La Defusione delle Emozioni, quindi l’eliminazione dello stress emotivo, è uno dei primi passi che normalmente si mostra nel Neuro-Training. E’ un aspetto che ha a che fare con la neurologia, e alla fine con la stessa natura ed identità umana. Vediamo se riusciremo ad educare le macchine a comprenderci, e allenarle ad aiutarci a comprenderci meglio a nostra volta. Grazie Francesco, è stato veramente un viaggio affascinante questo in cui ci hai accompagnato.


Fabrizio Leo
Direttore Neuro-Training College Italia
tel. +39 333 4142598
fabrizioleo.mailbox@gmail.com

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